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Le nuove direttive ESG: una svolta necessaria per l’imprenditoria italiana

Aggiornamento: 22 ott 2024



In tempi recenti, le banche hanno cominciato a porre agli imprenditori questioni riguardanti il rispetto dei parametri ESG. Si pone, quindi, per l’imprenditore il quesito di come e se attrezzarsi per fornire le necessarie risposte: si tratta di un obbligo di legge a cui, progressivamente nel tempo, non ci si potrà sottrarre.

Tuttavia, la priorità dell’imprenditore è creare ricchezza con la sua azienda, possibilmente senza farsi sommergere da documentazione e adempimenti fini a sé stessi.

Da questo punto di vista, si distinguono due approcci:

  1. Shareholder Approach: punta alla massimizzazione del risultato per gli azionisti e, quindi, è positivo per l’azienda, che vedrà aumentare il suo valore presente e futuro.

  2. Stakeholder Approach: punta a tutelare tutti i portatori di interesse dell’impresa o organizzazione, distogliendo il focus dalla strategia aziendale. Questo approccio può essere rischioso, ma è quello favorito dalla norma europea di riferimento.

L’equilibrio tra questi due approcci è molto delicato, e pur senza voler demonizzare alcunché, va sottolineato come l’impresa non possa eludere la necessità di fare fatturato, generare flussi di cassa positivi e creare valore, che si traduce, in primis per sé stessa e di conseguenza per tutti i portatori di interesse.

È importante evidenziare che le tematiche ESG andranno ad impattare direttamente sulle capacità di finanziamento delle imprese, generando la necessità per ogni impresa di dotarsi di un piano strategico aziendale, pena il rischio di uscita dal proprio mercato di riferimento.

Al di là della evidente e fastidiosa demagogia, rimane il concetto che un imprenditore moderno, già oggi, non può fare a meno di essere informato, conoscere le linee guida, i trend dei mercati e i comportamenti pratici da adottare in azienda per rispondere a quella che sarà a tutti gli effetti una sfida sul piano normativo, cosciente del fatto che le sfide si possono trasformare da minacce in opportunità.

È ineluttabile che le normative ESG entreranno “a gamba tesa” nella quotidianità delle aziende, a prescindere dai livelli dimensionali delle stesse, perché anche una piccola o micro impresa potrà trovarsi coinvolta in una filiera, come cliente, come fornitore o come beneficiaria di un progetto di finanziamento.

Tutta la normativa ESG si tradurrà molto presto, dal punto di vista pratico, nella necessità di esplicitare chiaramente quali sono gli obiettivi strategici dell’impresa, e da questo punto di vista è importante ribadire alcuni concetti fondamentali:

  • Objectives: devono essere definiti con la logica SMART. Ciò che va comunicato a banche e altri portatori di interesse, per obblighi normativi, si dovrà tradurre in termini quantitativi, con caratteristiche di specificità (Specific), misurabilità (Measurable), raggiungibilità (Achievable), rilevanza (Relevant) e precisa collocazione nel tempo (Time-based).

  • Goals: diversi dagli objectives, sono di tipo descrittivo e direzionale, e devono essere di lungo termine; non parliamo qui del bilancio di esercizio, ma di bilanci sociali, o bilanci di disponibilità a 3 o 5 anni. I goals devono essere anche motivazionali, con un misto di modelli logici ed umanistici. La finanza pura e semplice non ci dà gli obiettivi emozionali.

Gli obiettivi di tipo finanziario devono essere in grado di risolvere il conflitto fra i due approcci cui abbiamo già accennato: stakeholder (richiesto dalla normativa) e shareholder (necessario per la sopravvivenza dell’azienda). La strategia umanistica è perfetta per questo tipo di necessità.

A livello di piccola e media impresa è importantissimo avere ben presente questa distinzione: i goals che vengono definiti dalle normative sono qualcosa di teorico, descritto dal punto di vista qualitativo tramite parole, mentre gli objectives devono essere scritti in termini quantitativi, perché sono dei numeri.

Redigere un piano strategico aziendale per rispondere a questi ormai impellenti adeguamenti normativi, potrà fare la differenza fra chi continuerà ad avere accesso al credito e chi invece si vedrà chiudere i rubinetti: non è difficile ipotizzare che in assenza di un adeguato piano strategico si potrebbero incontrare gravissime difficoltà, anche per aziende cosiddette bancabili dal punto di vista puramente finanziario.

Va chiarito che il Budget e il Business Plan riguardano obiettivi di breve periodo e di basso impatto, tendenzialmente in un'ottica triennale o quinquennale; il Piano Strategico invece è uno strumento di medio-lungo termine che va dai 5 anni in su e contempla l'analisi dei rischi, aspetto fondamentale in quanto è coerente con la normativa ESG.

Sempre a livello di piccola e media impresa, vi sono almeno cinque principi dai quali non si può derogare nella stesura di un Piano Strategico che risulti conforme alle normative ESG:

  1. Qualità: principio generale di riferimento, inderogabile, riassumibile nel motto “il cliente è il nostro capo”.

  2. Responsabilità: a livello individuale e aziendale. Sempre più il sistema finanziario, ma anche quello della fornitura, chiederà risposte sulla responsabilità, non soltanto in termini ambientali (pensiamo solo a tutte le tematiche riguardanti il personale).

  3. Mutualità: perché ormai si deve cominciare a parlare di share benefit, beneficio condiviso; è un principio sul quale si può discutere, ma il processo è ineluttabile.

  4. Efficienza: zero sprechi e via di seguito. Non riguarda solo le aziende di produzione, ma anche quelle di servizi.

  5. Libertà: apparentemente innocuo, ma necessita di grande considerazione. Il principio che sta dietro è riassumibile nel motto “we need profit to remain free”, ossia per essere liberi bisogna produrre utili e ricchezza, con tutte le implicazioni immaginabili.

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